“I promessi sposi”, di Alessandro Manzoni – Capitolo IX

Parlare o tacere per il bene dei figli…

Le riflessioni fatte fino a questo momento, come quelle che seguiranno, e la stessa proposta di oggi, potrebbero apparire scollegate tra loro; tale parvenza di “parzialità” o, meglio, di frammentarietà può essere colmata in un solo modo: prendere la decisione, laddove si voglia approfondire i temi trattati in questa rubrica, di leggere l’intero romanzo; si potrebbe, per esempio, di volta in volta, premettere la lettura dello specifico capitolo del romanzo manzoniano, facendolo seguire dall’approfondimento che si può attingere dal commento proposto di volta in volta. Inoltre, scorrendo le righe de “I promessi sposi”, vi si potranno trovare tanti ulteriori spunti, da non lasciare spazio a pigrizie previe o posticipati pentimenti.

Facendo un passo in avanti in questo cammino, si giunge alle parole pronunciate da Gertrude – la “famosa” monaca di Monza -, con toni forti, nei confronti di Agnese, intervenuta a parlare in vece di sua figlia Lucia:

“State zitta voi: già lo so che i parenti hanno sempre una risposta da dare in nome de’ loro figliuoli!”.

Potrebbe risultare utile provare a leggere la frase con un’intonazione che si avvicini alla descrizione che introduce i termini riferiti ad Agnese:

“Siete ben pronta a parlare senz’essere interrogata, – interruppe la signora, con un atto altero e iracondo, che la fece quasi parer brutta”.

L’esercizio appena proposto è funzionale alla comprensione di una sottile dinamica relazionale tra genitori e figli. Nella consapevolezza che quanto di seguito riportato coglie solo una parte del tema qui trattato, ciò che qui s’intende dire è che oggi – al di là dell'”ottimo”, che consisterebbe nel riprendere con volto sereno, ma con decisione, i propri figli o discenti -, in generale, sarebbe preferibile qualche “no” in più per il bene dei figli, rischiando anche qualche espressione del volto o tono un po’ più “zelante”, piuttosto che un silenzio o, addirittura, di un sorriso complice. Si vedano le conseguenze di tale distorta complicità, per esempio, in ambito scolastico e riportate sui vari quotidiani…

Si fa largo, allora, un punto dolente: la necessità di dedicare tempo ai propri figli, per ascoltarli e per parlare con loro. Ciò darà senso anche a quei momenti in cui bisognerà parlare di loro, sempre e solo per la buona riuscita della loro vita, anche quando ci sarà qualcosa di “amaro” da decidere di dire o di fare a loro riguardo. Quanto qui si desidera evidenziare è quel servizio reso per amore del “figlio”, che non gli sottrae l’opportunità di esprimere la “fioritura” del suo essere unico e irripetibile, educando la ricchezza della sua diversità. A questo fine, sarà necessario l’atteggiamento di chi tace per ascoltare, di chi sceglie il silenzio come possibilità data al figlio di venir fuori per quello che è, rispettando la prospettiva da lui assunta.

Gertrude, avrà pure sbagliato i modi, ma non le si può dar torto; di fatto, Agnese ha privato sua figlia di un’occasione per mettere fuori le sue ansie, le sue lacrime, le sue speranze, perché si è sostituita a lei. Cara “odierna” mamma Agnese, hai tu imparato “il parlare” e “il tacere”, che nasce dall’ascolto della realtà? Se sì, sperimenterai che i tuoi figlioli, nell’esporsi in prima persona, diventeranno degli adulti impregnati di un alto senso della giustizia, di un profondo grado di sincerità, e di una costante ricerca della verità; così, essi, a loro volta, sapranno scegliere, per figli e discenti, con coraggio, quel così importante silenzio narrante.

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