Maria, di Pablo Larraín racconta gli ultimi sette giorni della vita di Maria Callas.
Maria.
La Divina, la Voce per eccellenza, l’unica autentica prima donna, lei non si limitava a cantare, apriva universi.
Una voce che penetrava nell’anima, un varco su un dolore che si trasformava in bellezza.
Ma il dolore si sa, è un amante implacabile, ti regala il fuoco e poi ti consuma.
Come devo chiamarla -chiede il giornalista che la interroga- Maria o la Callas?
Maria, rappresenta la donna, con le sue vulnerabilità e i suoi amori sfortunati; la Callas è la diva, già elevata alla mitologia.
Guardando il film, ho percepito il peso del suo conflitto: chiudere quella porta significava salvarsi, ma anche estinguere la scintilla che rendeva la sua voce inimitabile.
Che fine fa il talento quando lo privi della sua essenza? E noi, quando decidiamo di guarire?
Forse è questo il miracolo di Maria: ci insegna che il dolore, anche se intenso, può essere trasformato.
Ma a quale costo?
Una lezione che continua a risuonare, anche a sipario chiuso.