Hiroshima e Ken Domon: elegia del ricordo e dell’oblio, dei morti e dei vivi

E’ possibile pensare ad Hiroshima, tornando indietro ad un passato affatto remoto, non solo rievocando quel punto zero della Storia che fu il tragico 6 agosto 1945. Prima, con uno sforzo non indifferente, cercando di non soffermarci solo sulle più famose immagini del fungo atomico e di minuscole forme umane vaganti per una città polverizzata. Quindi, inoltrandoci ben oltre discorsi commemorativi più o meno seri, il più delle volte utili a bravi governanti ‘solo’ per ripassare lo sviluppo, le cause e le conseguenze di tragici eventi. Con l’obiettivo di riportare l’attenzione su quelle incredibili testimonianze in grado, da allora e per sempre, di far risorgere dall’ annichilimento totale un intero popolo e la sua città: Hiroshima.

La ricostruzione di Hiroshima

Superato quell’incipit inesorabilmente collocato in quella tersa e afosa mattina di agosto, bypassata una certa retorica di politici più o meno potenti, fissiamo il nostro obiettivo poco dopo la ricostruzione di Hiroshima. Una ricostruzione materiale incredibile, forse ad oggi unica al mondo, riuscita in un decennio a riportare la città disintegrata ad essere l’ottava forza del Paese. Nihil difficile volenti? Ab incipit un doveroso omaggio e una sentita critica: per l’intero e fiero popolo giapponese, strutturato anche sul senso del dovere e fino ad allora rimasto invitto nella storia; per tutte quelle nazioni vinte, compreso quello stesso Sol Levante ormai tramontato, che, rifacendosi ad una legge universale non scritta, desiderano cancellare il peso di immani sconfitte e tragedie. Sconfitte, colpe e tragedie.

Mossi quindi solo pochi passi, ci ritroviamo incanalati nella Storia e in centinaia di migliaia di altre storie: le circa 150000 vittime del primo bombardamento atomico, gli Hibakusha, i Sopravvissuti per sempre straziati nei corpi e perseguitati nello spirito dai segni del Demonio (così i nipponici appellarono l’ordigno nucleare). Forse è una storia, anzi è la Storia, che nel suo necessario e inarrestabile corso sembra destinata a ripetersi drammatica, più o meno razionale (Hegel e seguaci battete un colpo!). Forse appare illusoria la speranza di superare, dopo così poco tempo e in uno spazio tanto angusto, quell’obiettivo inizialmente prefissato. Ancor più se facciamo finta di ignorare quell’assurdo e paradossale leitmotiv storico dove i morti ci invitano a ricordare, mentre i vivi si sforzano di dimenticare. Eppure, quei forse si e ci illuminano con una luce non sinistra, ma attraverso ombre e riflessi straordinari, siano essi attimi di vita catturati in scatti sensibili e sublimi, siano essi sequenze indimenticabili legate a profonde confidenze. Soprattutto quegli stessi forse ci mostrano come quell’obiettivo non era così lontano e fu già conquistato grazie all’opera di un individuo non comune.

La testimonianza fotografica

Mi riferisco a quell’incredibile testimonianza artistica di umanità, ispirazione, empatia e sensibilità – l’ordine non è puramente casuale – che furono e sono i due reportage su Hiroshima del fotografo nipponico Ken Domon (1909 – 1990). I reportage furono eseguiti nel 1957 e nel 1968 e sono raccolti nel volume unico, “Hiroshima non dimenticare!”, stampato dalla casa editrice Fenice 2000.

Ken Domon, in patria affermato e apprezzato fotografo realista già dagli anni di guerra, nel recarsi ad Hiroshima  si prefigge lo scopo di squarciare lo spesso velo di oblio che inizia a stendersi sul disastro atomico. Quel piccolo grande uomo scrive un commovente diario di viaggio e immortala soggetti unici al mondo: i Sopravvissuti alla catastrofe. Pur soffrendo enormemente, devastati nelle carni, nelle ossa, nelle loro più intime essenze umane, uomini, donne, bambini di Hiroshima decidono volontariamente di porsi di fronte all’obiettivo di Ken. Miracolo e capolavoro. Ogni foto vive di vita propria: è sofferenza, a volte straziante, a volte quasi vinta da un incredibile contegno; è speranza che si sostiene con fermezza e fiducia. Ken scrive, ritrae, piange. “Quando cominciai a scattare le fotografie, le vittime si mettevano volontariamente davanti alla mia macchina fotografica, con il sincero desiderio di che le immagini aiutassero ad evitare che altri giapponesi cadessero vittime di bombe atomiche come loro. Quante volte scattai con le lacrime che mi riempivano gli occhi”. Ogni sequenza ci racconta storie che non possono e non vogliono concludersi su se stesse, masi sviluppano con il proposito di elevarsi e scuotere l’animo del nuovo Giappone e dell’umanità intera.

Non dimenticare!

Non dimenticare Hiroshima (!), non dimenticare i morti, non dimenticare soprattutto chi tra/da i vivi è dimenticato o si ritrova come morto, perché ‘assassinato’ da una volontaria e diabolica damnatio memoriae sociale frutto di consumismo, oblio, disinteresse e senso di colpa. Il volume di Ken Domon è una lunga carrellata di memorabili immagini che si dipana tra personaggi, luoghi e racconti. Riporto alcune tappe, poche ma determinanti, di un viaggio umano e visivo che, una volta intrapreso, segna definitivamente. E’ un implicito invito ad intraprenderlo. Per chiunque desideri cercare possibili risposte sulla nostra presunta grandezza e sulle nostre molteplici debolezze; per tutti coloro che, schierati per la Vita, cercano di dare più significati alla nostra esistenza, al destino, alla ineluttabilità della morte. Incontro una coppia di hibakusha, i coniugi Kotani, capaci ancora di sorridere e, attraverso l’amore e la nascita di un bambino, di voler creare una nuova famiglia; osservo commosso i volti spaesati di Yuriko e Kaeko, due piccole gemelle all’apparenza felici e sorridenti, in realtà cieche e quasi del tutto pazze per le troppe sofferenze patite; assisto curioso ad un incontro di baseball e, scorgendo in lontananza la scheletrica e inconfondibile sagoma del Tempio della Pace, percepisco un lamento contro il dilagante americanismo, la pericolosa tentazione di confinare il Demonio in una data ormai passata; passeggio lungo Via Aioi, il ‘ghetto della bomba’, un caotico ammasso di baracche, dove furono discriminate e relegate 1000 famiglie sopravvissute. E’ proprio qui che, prima di giungere alla meta, “ritrovo” Ken intento a scrivere le pagine più significative del suo diario: “I segni della bomba continuano a offendere la dignità umana. E’ vero. Una ‘bomba del tutto speciale’ ha portato alla fine di una guerra stupida. Che a Hiroshima si debba soffrire a oltre due decenni lo sento ingiusto e stupido. Di nuovo a Hiroshima (è il reportage del 1968), ho sentito intenso il desiderio che tutto il popolo provasse comprensione e solidarietà per le povere vittime di Hiroshima… Questo è il mio modesto rapporto. Il rammarico è grande. Sento le vittime di Hiroshima che gridano: ‘Non potete dimenticarci’ “ . Mi sento straziato ed elevato da queste parole così dense, sono confuso e provato e lascio che sia Lui a scegliere per me e per Noi l’ultima fermata del nostro percorso. E’ inevitabile giungere infine a salutarci sotto l’arco del Parco della Pace, lo è ancor più ricordare quanto inciso su quelle pietre e promesso a quei morti, a tutti i morti di qualunque conflitto: ‘Riposate in pace. Non ripeteremo l’errore’.

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