Io ti perdono ed essi non ti perdono…
L’immagine di copertina, volutamente modificata, cela, nella versione intera, i tratti di una persona, verso la quale, a ben vedere, si rivolge, di sbieco, lo sguardo di Renzo (vedi le somiglianze con la descrizione dell’immagine della rubrica su “Il Piccolo Principe“). Si tratta di un frate, Cristoforo, colui che il Manzoni descrive nell’atto di stare “in piedi, ma col capo chino”, mentre pronuncia le seguenti parole:
“io posso dunque sperare che lei m’abbia concesso il suo perdono! E se l’ottengo da lei, da chi non devo sperarlo? Oh! s’io potessi sentire dalla sua bocca questa parola, perdono!”.
Suona quasi strano che un uomo chiamato a dispensare il perdono divino, sia descritto come una persona bisognosa di perdono. L’antefatto è nel nome stesso del personaggio, nome acquisito indossando l’abito religioso, per provar a porre rimedio alla macchia di peccato creatasi sulla sua veste battesimale, alla quale si associa il nome di Ludovico. Quest’ultimo, in seguito a una rissa da lui non cercata, ma nemmeno evitata, non solo aveva ucciso un uomo, ma vedeva anche cadere morto una delle sue “guardie del corpo”, di nome Cristoforo. Con due morti sulla coscienza, Ludovico decise di diventare frate, in riparazione del suo delitto, e prendendo il nome di Cristoforo, quasi a volergli restituire la vita. Quando, poi, la divina provvidenza lo mette a confronto con il fratello dell’uomo che egli aveva ucciso, fra Cristoforo sente il bisogno di “essere assolto” da costui, che, col suo atteggiamento, si manifesta rassegnato piuttosto che riconciliato circa il tragico evento. Ecco perché fra Cristoforo deve quasi cavargli le parole dalla bocca, per cercare di carpire qualcosa che può essere solo frutto di un dono (in proposito, vedi il testo che ha dato avvio alla mia esperienza con la Redazione di Vite Narranti, dal titolo “Amare è per-donare“). Infatti, finché quell’uomo non dichiarerà il suo perdono, l’attesa di fra Cristoforo resterà solo speranza di perdono. Una speranza che, se compiuta, potrebbe, poi, estendersi a tutte quelle colpe di minore entità e per le quali egli chiederà ancora la concessione dell’altrui perdono. Raccolta questa dichiarazione, ricevuto questo perdono, Cristoforo potrà finalmente emergere da un abisso di tristezza che, altrimenti, avrebbe potuto chiuderlo al bisogno degli altri, non tanto a quello di tipo materiale ma a quello spirituale.
Caro Ludovico-Cristoforo, un uomo ha pronunciato per te queste parole: “Io ti perdono” e perciò molti, tra i quali Renzo e Lucia, non ti perdono come loro guida. È il perdono che tu hai ottenuto attraverso un uomo che ti rende, nonostante tutto, secondo l’etimologia del tuo nome, un “portatore di Cristo”; di colui che resta il segno e lo strumento del perdono vero, di un perdono narrante.