“Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry – Capitolo XXIII

L’avidità del proprio tempo…

Il mancato “guadagno” della fretta relazionale.

 

La sfilza di mestieri che il Piccolo Principe impara a conoscere, nel suo giro sulla Terra, lo conduce alla comprensione che, oltre che sul denaro, l’uomo tende a voler risparmiare anche sul tempo, proprio perché, come dicono alcuni, “il tempo è denaro!”. Non è vero, il tempo non è denaro; il tempo è un dono prezioso, gratuito, al quale non si può attaccare l’etichetta di un prezzo: sarebbe troppo salato per la serietà della vita e per le persone amate!

Nei rapporti umani, infatti, la parsimonia del tempo punta spesso l’orologio relazionale sull’avidità del proprio tempo, (vedi film In time), e le lancette degli oramai rari orologi analogici trafiggono le risorse umane con l’arma di una digitalizzazione esasperante e della, cosiddetta, “Intelligenza Artificiale”.

Mercanti di stelle, mercanti di amici, mercanti di pillole, vestiti con classe, dietro mestieri rispettabili, che però manifestano una sapienza distorta, si velano delle mentite spoglie di una “giusta” sete: quella del massimo risultato col minimo sforzo.

L’economia del tempo, coincidente secondo l’etimologia con la gestione della “casa” del proprio tempo, è confusa con il tempo dell’economia, per cui, se non “ci vai a guadagnare”, allora “non ti conviene!”. Illusa, dunque, la volpe che ci guadagna “per il colore del grano”, nel rapporto di vicendevole addomesticamento con il Piccolo Principe? No, anzi, è molto lucida!

Cosa farebbe ciascuno di noi se avesse a disposizione cinquantatré minuti in più in una settimana? Sarebbe una buona idea impiegarli nella saggezza della lentezza di un sentiero da percorrere, magari in compagnia delle persone che ci amano e che amiamo, verso una fonte di acqua fresca. Sia un’acqua diversa, nella condivisione della qualità del tempo, a dissetare la sete di essere umani insieme, combattendo, in ogni kairos relazionale, le piccole pillole di chronos a nostra disposizione.

Che aumenti la sete di ciascuno, allora; sete non del tempo altrui, ma di avere un tempo sufficiente per porgere un’acqua che innaffia il cuore e può fa sorgere dall’agonia, dagli agoni di un tempo sempre più avaro, quella più umana e agognata vita.

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