Pensieri A Raffica: Il Mio Cervello in Evidenza (Riflessione #141)

Funambolismo Linguistico: L’assurda Avventura del Politicamente Corretto

Ben trovati, signori. Suvvia, non siate timidi, entrate. In questa tiepida mattinata di un ottobre che sembra giugno, ci imbarcheremo nell’avventura del politicamente corretto. Chi avrebbe mai immaginato che il linguaggio potesse intricarsi come un labirinto in cui è più facile perdersi che chiedere aiuto? Politacally Correct, termine che in tempi remoti era animato da buone intenzioni, ora ha assunto l’aspetto di un paradosso formato da incomprensioni e doppi sensi. Quello che stiamo per compiere, sarà un viaggio attraverso un mondo di parole traballanti e regole mutevoli, dove il buon senso le prova tutte per sopravvivere all’assurdità di idee confuse.

Riflessione #141

Il politicamente corretto, la nuova attrazione in questo vasto e rumoroso parco dei divertimenti che è la società in cui seguitiamo a tirare avanti, è un gioco di equilibrio su una fune sospesa sopra un precipizio di buone intenzioni. Mi chiedo quando sia diventato così eticamente e assolutamente indispensabile preoccuparsi di non offendere qualcuno. Mi sembra di camminare in punta di piedi su un guscio d’uovo, cercando di non scivolare in qualche trappola linguistica messa lì a posta per far passare il prossimo critico di turno l’ennesimo sovversivo le cui opinioni (assolutamente libere) sostengono il contrario del resto del pianeta.

Citando un esempio, ricordate il caso delle “uova di Pasqua” che dovevano chiamarsi “uova di primavera” per non turbare nessuno? Stando a come andarono le cose, il politicamente corretto voleva cambiare la natura stessa delle stagioni. Immaginate di dover dire ai vostri figli che il coniglietto pasquale ora è il “coniglietto di primavera” perché il termine “Pasqua” potrebbe offendere chi ha una sensibilità più alterata della loro. Non credo che gliene importerebbe molto, anzi, al massimo potrebbero chiedervi cosa c’entra la primavera con le uova e un coniglio aprilino che se ne va in giro a nasconderle dietro i cespugli.

E poi c’è il fenomeno delle squadre sportive (non vogliatemene a male se prenderò in causa football e baseball). Quante volte abbiamo sentito discussioni interminabili sul fatto che il nome di una squadra fosse discriminatorio? I Washington Redskins sono diventati i Washington Commanders; mentre i Cleveland Indians ora sono i Cleveland Guardian. Tutto questo per non offendere i nativi americani i cui esponenti, interrogati sulla questione, hanno affermato che della cosa non gliene fregava praticamente nulla, aggiungendo che gli amministratori della NFL e MBL avrebbero fatto meglio a concentrarsi su questioni più importanti, tipo la salute dei loro atleti.

E che dire delle parole che non possiamo pronunciare? Alcuni intellettualoidi hanno vietato l’impiego di termini specifici poiché ritenuti offensivi. Per dirvene una, non molto tempo fa ho sentito affermare da un noto esponente politico (di cui è meglio non fare il nome) che la parola “pacemaker” fosse in realtà riferita a un giocattolino erotico di dubbio uso e gusto. E io che pensavo si trattasse di un dispositivo elettronico impiantato nel corpo per regolare il ritmo cardiaco. Se andiamo avanti di questo passo, conviene portarsi dietro un manuale di pronuncia per evitare di finire sul rogo a causa di un malinteso.

Non fraintendetemi, qui si scherza, non c’è mai nulla di serio o provocatorio nelle nostre chiacchierate. Ciononostante, non si può dire che questo benedetto politicamente corretto non stia facendo del suo meglio per spingerci ad avere comunicazioni sempre meno sincere e spontanee. Dovremmo poter dire la nostra senza rischiare di offendere e senza il terrore di venire rinchiusi da qualcuno che non vuole che si pensi con la propria testa. Secondo me, questa nuova legge non scritta dovrebbe fare in modo che ogni individuo trovi il giusto equilibrio tra la libertà di pensiero e il rispetto per gli altri.

Ritornando su quanto ho scritto, mi sono reso conto che non ho dato la definizione esatta di “politicamente corretto”. Per chi ancora non lo sapesse o si accontenta di ripetere a pappagallo ciò che dicono gli altri per sentirsi importanti in qualcosa che manco sanno che forma abbia, il concetto si riassume in questo: il termine “politacally correct” (spesso abbreviato “PC”) si riferisce a un principio o a una pratica che cerca di evitare l’uso di linguaggi o comportamenti considerati offensivi, discriminatori o sensibili nei confronti di gruppi sociali svantaggiati o minoranze. L’obbiettivo è promuovere il rispetto e l’uguaglianza tra le persone, evitando di perpetrare stereotipi o pregiudizi.

In parole povere: pur avendo il legittimo e sacrosanto diritto di dire la vostra, se lo fate, siete fregati.

Volete sapere cosa ne penso? Da come parecchi stanno rigirandosi la frittata, dalla pluripremiata casa di produzione, passando per l’emittente televisiva, fino al panettiere sotto casa, il politicamente corretto è la più genuina e assoluta forma discriminatoria che sia mai stata approvata all’unanimità.

Nel sempre più citato 1984 (opera che consiglio, non tanto per l’originalità del prodotto quanto per l’abilità dell’autore di abbinare il suo pensiero anticonformista a un’abilità narrativa unica) George Orwell scrive: il concetto stesso di verità sta scomparendo dal nostro mondo. Le bugie passeranno alla storia.

Che vuole dire? Che purtroppo per noi, la storia è scritta dal vincitore o da colui a cui non viene mai chiesto se sta dicendo la verità. Mai, come nell’era dei social media, questa affermazione rimbomba in tutta la sua triste sincerità. Tra bufale, fake news, e ideali insensati che nel fertile terreno della disinformazione e della mancanza d’interesse maturano e si riproducono, è difficile distinguere il vero dal falso, visto che, in un momento di inganno, dire la verità è un atto rivoluzionario.

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