S.O.S. DI CHURCHILL 17 Giugno 1941

Il capitano si è recato nella cabina del radiotelegrafista per mandare egli stesso un SOS »: è questa, nella sua drastica formula espressiva trovata da un giornale tedesco, l’impressione destata cosi in Germania come in tutta la più autorevole stampa delle capitali neutrali dall’allocuzione ieri pronunciata alla radio londinese dal signor Churchill in occasione della laurea d’onore in diritto che il rettore dell’università di Rochester ha avuto la buona idea di conferirgli.

Il conferimento di questa nuova laurea non è da credere che abbia propriamente riempito un vuoto in quelli che devono essere i desideri più urgenti del molto premuto primo ministro britannico, bisognoso forse, per soddisfare l’attesa della sua pubblica opinione, di tutt’altri e di più urgenti apporti specialmente da quella riva dell’oceano che non quelli di una nuova pergamena accademica sia pure in diritto, in quel diritto internazionale di cui egli è naturalmente cosi strenuo paladino in favore del progresso civile dell’afflitta umanità.

Angosciosa e invocazione.

La cerimonia del conferimento fatto per radio ha per altro offerto al suo animo da tanti affanni gravato l’occasione propizia per uno sfogo; ed egli l’ha colta per pronunciare un discorso che nella sua brevità e concisione appare all’opinione tedesca non poco significativo, soprattutto per un carattere che nettamente lo distingue da ogni altra sua manifestazione oratoria precedente. E’ stato infatti — si nota a Berlino — più volte giustamente rilevato come il signor Churchill si sia sempre per il passato costantemente astenuto dal pronunciare nei suoi discorsi appelli concreti e urgenziatori agli aiuti degli Stati Uniti riservando questa funzione come è comprensibile unicamente ai propri organi di propaganda. Ciò non era soltanto per una specie di naturale astensione da ogni atteggiamento di pressione sulla libertà di decisione e di azione dell’amico di oltre oceano — che era la ragione che l’aveva fino a poco fa anche fatto astenere da ogni accenno alla possibilità di una partecipazione degli Stati Uniti stessi alla guerra, — ma principalmente manifestamente per non autorizzare con la personale sottolineatura del primo ministro conclusioni e induzioni pessimistiche più che giustificate sulle vere condizioni della resistenza britannica Ora — si osserva — con questa allocuzione tali riguardi sono com pletamente messi da parte dappoiché evidentemente vi sono a questo mondo situazioni fra le quali quelle in cui si ha l’acqua alla gola, in cui ogni pudore si dimentica; e ciò è, per un primo punto, altamente significativo. La nuova allocuzione churchilliana appare significativa anche per la sua forma che tradisce indubbiamente l’intimo travaglio e la crisi psicologica dell’uomo pur tanto indurito, costretto dalla situazione a giungere a una confessione che in tutti i modi egli aveva finora voluto evitare ed anche ora, con evidente lotta, per una buona metà del suo nuovo documento oratorio cerca di evitare, menando a diporto come fa i suoi accademici uditori per la necessaria « commozion degli affetti » — come dicevano i retori antichi — a inorridire davanti al « dominio armato che getta la sua ombra sull’Europa > e su non sappiamo quanti altri continenti nonché davanti al i. sistema del barbarismo meccanizzato » che minaccia di devastare il mondo nonché alle « leggi infrante » che giacciono per terra disperse dovunque egli sia passato finora; e cose simili. Ma alla fine bisogna venire al sodo degli aiuti americani che erano quelli che più gli premevano e per cui forse l’amico e compiacente rettore di Rochester l’aveva convocato sulle onde dell’etere; e c’è venuto tergiversando ancora un poco e osservando come il vecchio leone britannico il quale « ha resistito nientemeno che un anno » (e che cosa è un anno per un cosi vecchio leone?) sostenuto tuttavia t dalla simpatia e dal rispetto » nonché dalle « incoraggianti promesse degli aiuti americani » e deciso ancora « a resistere incrollabile fino alla fine ». Con quest’ultimo accenno però è cessato d’un colpo ogni tentativo churchilliano di aggrapparsi ancora all’illusione di poter destare altrui l’impressione di una residua indipendenza dell’Inghilterra dagli Stati Uniti; ed egli è venuto senz’altro decisamente alla conclusione finale che cioè « il tempo urge e ogni mese che passa contribuisce ad aumentare enormemente i pericoli della via che purtroppo deve essere percorsa. Uniti —- ha concluso — resisteremo; ma separati cadremo ».

Il leone spelacchiato.

L’impressione del discorso non può a meno di essere da per tutto calle più penose. Dove sono i tempi — si domanda intanto — in cui la più modesta e dimessa dell allocuzioni del signor Churchill lungi dal prospettare agli inglesi come un massimo la possibilità di « resistere » prospettava loro il programma minimo della estirpazione completa del mostro nazlonal socialista dalla faccia della terra? Il vecchio leone di cui ha parlato ora il signor Churchill appare davvero spelacchiato e può soltanto destinare in eredità la propria pelle a far da modesto tappeto sotto i passi imperialisti ci dell’America; e ciò anche se quel « noi » dell’ultima frase churchilliana che accomuna Inghilterra e America nell’eventuale per dizione sia destinata a costituire una sorta di minaccia che dovrebbe essere costrittiva per gli americani. Questi però — osserva la stampa tedesca — se e in quanto siano ancora rimasti fra essi strati e ceti della popolazione che abbiano mantenuto immune dall’a | zione corruttrice e avvelenatrice o i i della propaganda governativa la propria retta capacità di giudizio non possono a meno di essere indotti a considerare melanconicamente che in queste condizioni di cose in cui nulla più quasi c’è da salvare in Inghilterra, l’unica e ben magra prospettiva che loro resta altra non può essere infine che quella di dividere con essa la sua sconfitta. Una laurea in diritto per questo bel costrutto e contro questo solo corrispettivo è decisamente sprecata; e noi non crediamo che siano precisamente questi gli scopi per cui i magnifici rettori degli atenei americani aggravano di tanti allori di rendimento di grazie la fronte dell’inventore dell’unione e della retrocessione oceanica della potenza britannica. Dall’America intanto si moltiplicano con crescente zelo le prove e gli atti destinati, in mancanza almeno per ora di maggiori e più decisivi aiuti, a mantenere in forma e in funzione per lo meno dimostrativa il vecchio leone britannico, quella capacità di resistenza a cui ha accennato il signor Churchill galvanizzando e stimolando lo spirito pubblico cosi gravemente depresso in questa fase della guerra poco più di un anno e mezzo fa con tanta baldanza incominciata con la complice istigazione della diplomazia americana. Ieri era il congelamento del crediti italiani e tedeschi e oggi è la chiusura dei consolati e di altre istituzioni e circoli tedeschi in tutto il territorio della repubblica stellata. Si tratta di provvedimenti i quali, cosi quelli di ieri come quelli di oggi, lasciano completamente tranquilli gli animi in Germania e sui quali ancora una vera e propria presa di posizione man oT, , ca in questi circoli così ufficiosi come di stampa, mentre è indub-l bio che essi vengono in questo momento esaminati dai competenti uffici in tutta la loro portata politica e suscettibilità eventuale di reazioni di cui per ora non si crede di trovare sufficiente motivo. In que«to come in’ tanti altri casi analoghi — e per quanto riguarda la politica provocatoria del Presidente Roosevelt non si può davvero dire che i precedenti manchino — il riserbo assoluto e la più tranquilla ponderazione sono la prima forza di reazione della politica tedesca la quale ha ora come sempre da parte sua il diritto e l’usbergo della retta coscienza. La più alta considerazione viene intanto attribuita da tutta la stampa alla manifestazione resa a Tokio dal presidente del « consiglio per il movimento e per l’esecuzione della politica del Tenno » ammiraglio Suetsugo sulla politica estera e sull’immancabile reazione del Giappone ai sensi del Patto Tripartito in caso di intervento americano nel conflitto. Si tratta di una manifestazione — si osserva — alla quale compete il Fiù alto valore non soltanto per altezza e la rappresentanza dell’organo e della carica da cui essa deriva ma anche per la qualità stessa della persona che l’ha resa e che oltre a tutto è colui che ave va ancora qualche anno fa in sua mano il comando supremo della flotta nipponica. L’ammiraglio Suetsugo ha parlato chiaro e non ha lasciato alcun dubbio sulla ri percussione automatica che un intervento dell’America nel conflitto avrebbe da parte della politica giapponese la quale considera oggi come ieri sua fondamentale espressione e formulazione il Patto Tripartito e vedrebbe messi in gioco gli interessi vitali fondamentali della potenza nipponica nello spazio ad essa assegnato in vista del nuovo ordine mondiale. Le indubitabili dichiarazioni di Suetsugo non fanno del resto che aggiungersi alle molte e non meno indubitabili altre manifestazioni emanate da fonti autorizzate nipponiche negli ultimi tempi. Ed è questo susseguirsi di manifestazioni chiare e indubitabili che non manca di assumere la più significativa importanza di fronte al rincalzare delle manovre del bellicismo più 0 meno responsabile americano.

Articolo di Giuseppe Piazza (La Stampa 18 Giugno 1941)

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