Respiri e sospiri di vita…
Alessandro Manzoni, sul finire del suo capolavoro letterario, conduce il lettore a fare un ulteriore esercizio di contemplazione, ovvero aiuta chi legge quasi a entrare in quelle parole scritte, che prendono la forma di suoni, visioni, sapori, odori, sensazioni.
In particolare, è possibile contemplare ancora Renzo in cammino, ma segnato da un senso di pienezza e leggerezza; a ciascuno sembra poter sentire nel proprio petto il calore di quei sospiri che ora profumano di vita e che gli rendono meno affannoso il respiro, pur nella corsa, nonostante la pioggia battente.
Solo il largo respiro di una vita riconciliata e la certezza di aver ritrovato un amore così a lungo sospirato, può giustificare la descrizione dell’atteggiamento del giovane:
“Renzo, in vece d’inquietarsene, ci sguazzava dentro, se la godeva in quella rinfrescata, in quel susurrìo, in quel brulichìo dell’erbe e delle foglie, tremolanti, gocciolanti, rinverdite, lustre; metteva certi respironi larghi e pieni; e in quel risolvimento della natura sentiva come più liberamente e più vivamente quello che s’era fatto nel suo destino”.
La libertà di respirare un’aria pura, di bere le gocce di una pioggia fresca, di fare una doccia a cielo aperto che gli lava tutta la tensione accumulata, avere il tempo di udire i suoni della natura, di ammirarne i colori, di avvertire il terreno sotto i suoi piedi, il sentirsi tutt’uno con il creato aiuta Renzo anche a mettere insieme i pezzi della sua storia tanto contorta.
Chiunque avrebbe potuto riconoscere in quella pioggia sempre più fitta un imprevisto, un ostacolo, un rallentamento, come legittimazione di lacrime e lamentele. Renzo, invece, lo vediamo quasi sorridere, mantenendo la giusta andatura esteriore e il giusto ritmo interiore per arrivare alla sua destinazione; cosicché, anche quella tempesta, per lui, s’ammanta di benedizioni.
Successivamente Renzo ha avuto bisogno anche del calore di un amico e del fuoco, ma nemmeno questo sarebbe bastato se egli non avesse imparato sulla sua pelle che anche il dolore più grande non può eliminare del tutto gli aneliti di vita, e che anche nelle storture della propria storia v’è sempre un provvidenziale sussurrio narrante.

