La NarraMondo è una raccolta di pensieri, viaggi, visite culturali e di piacere e perché no, stati d’animo. Quasi nove anni fa e’ iniziato il mio “nomadismo”.
Un po’ ero spaventata all’idea ma poi ci ho preso gusto. Ho avuto modo di collezionare ricordi , avventure , di provare cibi nuovi, conoscere culture diverse ed incontrare tante persone.
Ogni cosa , ogni persona è stato un tassello importante nel puzzle della mia vita. Nonostante abbia ancora bisogno di tante scoperte e tanti tasselli per poter essere incorniciato.
Insha Allah è una parola che ho incontrato ovunque nel mondo arabo. Al Cairo l’ho sentita più forte, più frequente, più viva. Era ovunque: nei supermercati, nei corridoi delle scuole, negli uber che arrivavano spesso in ritardo. E più la “a” centrale si allungava nella pronuncia — “hinshaaalla” — più capivo che la cosa che doveva accadere avrebbe impiegato tempo. A volte molto tempo. A volte forse mai.
All’inizio mi irritava, mi innervosiva. Io volevo risposte nette, conferme, orari. Ma il Cairo non funziona così, e nemmeno la vita, se ci penso bene.
Insha Allah significa “Se Dio vuole”, e in arabo si scrive così: إن شاء الله. Tre parole che letteralmente dicono: “Se Dio ha voluto”. Ma non è solo una formula religiosa, e’ una parola che sospende. E’ una parola che non chiude, non promette, non garantisce. Dice: “Vedremo”, “Non dipende solo da me.” , “Faccio il possibile, ma il resto è fuori dal mio controllo.”
Nel mondo arabo, Insha Allah e’ tra le frasi che scandiscono la vita quotidiana. La senti quando chiedi se il documento sarà pronto domani, se il tecnico verrà davvero all’orario che ti ha detto , se il pacco arriverà in tempo. È una parola che protegge dal disincanto e lascia aperta una porta, anche quando non si sa dove conduce.
A me ha insegnato a respirare, non forzare e a non pretendere che tutto segua il mio ritmo. Rassegnazione? No, e’ una forma di rispetto per ciò che non si può prevedere, una tregua tra il desiderio e la realtà.
Insha Allah è diventata parte del mio vocabolario emotivo. La uso quando non ho risposte, ma voglio restare presente. Quando qualcosa potrebbe accadere, ma non dipende solo da me. Quando voglio lasciare spazio, senza rinunciare.
Non è una parola che si traduce. Si vive.
E ogni volta che la sento, in una pronuncia diversa, in un contesto nuovo, mi ricorda che c’è una bellezza anche nel non sapere, che il tempo non è sempre lineare e che l’attesa può essere fertile e che anche l’incertezza alle volte sa essere gentile
Insha Allah , questo post troverà chi lo riconosce.