Chinarsi sul più debole…
Una delle frasi più illuminanti da ascoltare, che rende ragione della verità dello scopo della vita umana, è la seguente: “Non c’è in un’intera vita cosa più importante da fare che chinarsi perché un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi” (Luigi Pintor). Illuminano queste parole, perché non c’è nessuno al mondo che non sia, contemporaneamente, portatore sano di forza e di debolezze. L’altro su cui chinarsi non è solo la persona oggettivamente in condizione di debolezza, come gli affamati, gli assetati, i nudi, i forestieri, gli ammalati, i carcerati, gli agonizzanti, i disorientati, gli ignoranti, i sofferenti di ogni tipo, ma anche colui che, apparendo forte, o presumendo di essere tale, ha bisogno comunque di qualcuno che se ne faccia carico, per aiutare quella persona a smascherare quella finta fortezza come la più grande debolezza. A pensarci bene, c’è anche chi ha effettivamente “carismi forti” ma che, lasciando che questi implodano nell’indisponibilità a condividerli o mettendoli a servizio del male, si rivela come una persona anch’essa bisognosa della cura di qualcuno che si chini su di lui, non per fasciargli le ferite, ma per aprire feritoie mediante le quali immettere in circoli virtuosi le proprie capacità di bene. Restando su quest’ultimo tipo di debolezza, guardando a ciò che si rende necessario in situazioni di urgenza nel campo medico, è possibile trovare delle conferme. Solo due esempi: la tracheotomia e la episiotomia. L’una, per creare un’alternativa quando non è possibile la respirazione per via naturale; l’altra, per dilatare il canale del parto in caso di pericolo per la madre o per il bambino. Entrambi gli esempi hanno a che fare con la possibilità di vivere. Quella stessa opportunità di vita negata o, piuttosto, stroncata anzitempo dalle conseguenze della peste che il Manzoni, riporta con il seguente, straziante periodo: