“I promessi sposi”, di Alessandro Manzoni – Capitolo XXV

Imparare il coraggio…
Quando don Abbondio, in conseguenza della sua viltà, si trova a dover render conto della sua condotta scorretta nei confronti dei promessi sposi Renzo e Lucia, è compreso da un moto di autogiustificazione, che lo conduce a esprimersi nei termini seguenti:
“Torno a dire, monsignore, – rispose dunque, – che avrò torto io… Il coraggio, uno non se lo può dare”.
Verrebbe da chiedergli, dunque, con quale coscienza egli abbia assunto il ruolo di “curato”, se ciò di cui abbonda è codardia, anziché coraggio! Eppure, egli, nel tentativo di difendersi, esprime una verità: il coraggio, seppur legato a quello che noi chiamiamo carattere o indole di una persona, resta tale e si accresce nelle varie esperienze della vita, in quanto qualcuno le abbia infuso coraggio; proprio come avviene per una pianticella: spunta fuori d’improvviso, fa notare la sua presenza, ma senza essere irrigata è destinata a seccare e a sparire, mentre se viene irrigata regolarmente cresce sempre più. Dunque, il coraggio è qualcosa che si apprende.
Imparare il coraggio, tuttavia, non deriva dall’assistere ad atti coraggiosi compiuti da altri, che non si avrebbe la forza di imitare, se non in modo goffo e patetico; il metodo di studio del coraggio non consiste nemmeno nel tentativo di ripetere parole coraggiose proferite in maniera estemporanea. Il coraggio s’impara, certamente, attraverso gli incoraggiamenti delle parole, ma soprattutto da quegli atti di fiducia accordati, mediante azioni concrete, proprio quando la persona ritiene di essere meno adatta, e priva di forze, per il raggiungimento di un determinato obiettivo.
Avviene, allora, che il coraggio appreso è quello di qualcun altro che poi una persona impara a fare proprio, personalizzandolo; si tratta di una “trasfusione” di coraggio. Ne consegue che si abbia bisogno non tanto di scuole teoriche di coraggio, ma di laboratori dove cimentarsi in graduali “coraggi condivisi”, laddove l’agire con il cuore sia la forza di relazioni nuove e, a loro volta, incoraggianti per altri.
A questo punto, caro Abbondio, ci fai un po’ pietà! Forse da nessuna comunità relazionale hai imparato a essere coraggioso e, magari, quei continui inviti ad avere coraggio non hanno fatto altro che causare il rinchiuderti nelle tue debolezze e paure. Che possa esserci per ciascuno quell’occasione di agire con cuore colmo di altruistica benevolenza, per formarsi, permanentemente, ad affrontare le situazioni della vita e a incontrare le persone, con coraggio narrante.

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