“I promessi sposi”, di Alessandro Manzoni – Capitolo XXX

Non subire passivamente il male…

Nella fretta di scappare, Perpetua aveva sotterrato gli effetti più preziosi di don Abbondio. Il pensiero di non aver avuto il tempo di nascondere tante altre cose, come anche di non aver trovato un luogo migliore dove conservare quelle cose, sarà stato certamente un tarlo nella mente di Perpetua e don Abbondio, e anche causa di ulteriori litigi tra loro. Sembra quasi di vedere l’incedere celere e affaticato dei due quando, rientrando, scoprono che il loro tesoretto era stato trafugato dai predoni.
Quell’affanno per quelli che essi considerano i beni della propria vita, generano due reazioni opposte in Abbondio e in Perpetua. Si tratta, rispettivamente, di rassegnazione e di indignazione. Abbondio si palesa quasi come un uomo virtuoso, che pone il valore della vita al di sopra dei valori andati persi. Come sempre, però, le apparenze risultano ingannevoli; infatti, quella di don Abbondio è ancora una volta una risonanza di viltà. A questa conclusione si giunge dopo un esame obiettivo della condotta di Abbondio, non solo in questa occasione, ma nella totalità della sua storia, del suo stile d’approccio alla realtà.
Don Abbondio è una persona che normalmente, purtroppo, subisce il male in maniera passiva. Tale passività toglie la parola alla coscienza che, a sua volta, si abitua a un così degradante modo di fare, fino a strutturarsi in questo modo deviato e deviante. Ora, subire passivamente il male è una forma di collaborazione con esso, ma don Abbondio sembra non aver appreso questa lezione, al punto da suscitare la risonanza sdegnata di Perpetua:
“Ma se non ne voglio saper nulla di queste cose, – diceva [don Abbondio]. – Quante volte ve lo devo ripetere, che quel che è andato è
andato? Ho da esser messo anche in croce, perché m’è stata spogliata la casa? – Se lo dico, – rispondeva Perpetua, – che lei si lascerebbe cavar gli occhi di testa. Rubare agli altri è peccato, ma a lei, è peccato non rubare”.
Ed è vero che don Abbondio, con il suo subire gli eventi, distorce l’ordine delle cose, tanto che fa passare come una cosa normale che a lui gli si debba rubare qualcosa. La sua è una sorta di tacita autorizzazione a essere derubato dal ladro di turno.
L’episodio accaduto qualche secolo dopo a un curato come lui, potrebbe essere il giusto modo per rispondere bene, con il bene, al male ricevuto. Si racconta che don Vincenzo Romano, fu svegliato di notte da due persone che gli chiedevano di accorrere al capezzale di una persona moribonda; precipitatosi in strada, Vincenzo seguiva quei due che, appena voltato l’angolo, gli puntarono una pistola intimandogli di consegnare loro il suo orologio. La reazione del prete fu quella di consegnare l’orologio con l’aggiunta di alcune parole riassumibili in quelle seguenti: “Ve lo regalo!”. Qualcuno potrebbe non notare la differenza, perché troppo concentrato sul maltolto. Eppure, la differenza c’è! Eccome! La differenza sta nella libertà di trasformare quella rapina in un regalo, quell’affronto in un incontro, e chissà che questo non abbia dato un impulso per dare un indirizzo diverso alla vita di quei due.
Abbondio e Perpetua, accumulatori pietosi e preoccupati arraffatori, dispiace per quello che, legittimamente vostro, sia andato perduto; ma, insieme, noi e voi, abbiamo bisogno di imparare il coraggio di apprendere che la vita vale più dei “valori”, come anche il valore di vanificare la violenza con una dignità narrante.

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