Eppur si dorme…
Anche se si dice che “al peggio non c’è fine”, la vita dell’Innominato, forse, non avrebbe potuto cadere più in basso; ma proprio quando giunge a toccare il fondo, una mano lo rialza e lo conduce a cambiare, in meglio, la sua vita. Uno dei primi effetti di questa conversione è un’umana e commovente ritrovata capacità di “avere sonno”.
Ecco il testo che descrive come il bisogno di dormire emerga, in quest’uomo dal nome nuovo, nonostante il suo rinnovato modo d’approccio alla realtà e proprio a causa di quest’ultimo:
“Affari intralciati, e insieme urgenti, per quanto ne fosse sempre andato in cerca, non se n’era mai trovati addosso tanti, in nessuna congiuntura, come allora; eppure aveva sonno. I rimorsi che gliel avevan levato la notte avanti, non che essere acquietati, mandavano anzi grida più alte, più severe, più assolute; eppure aveva sonno. L’ordine, la specie di governo stabilito là dentro da lui in tant’anni, con tante cure, con un tanto singolare accoppiamento d’audacia e di perseveranza, ora l’aveva lui medesimo messo in forse, con poche parole; la dipendenza illimitata di que’ suoi, quel loro esser disposti a tutto, quella fedeltà da masnadieri, sulla quale era avvezzo da tanto tempo a riposare, l’aveva ora smossa lui medesimo; i suoi mezzi, gli aveva fatti diventare un monte d’imbrogli, s’era messa la confusione e l’incertezza in casa; eppure aveva sonno”.
“Eppure aveva sonno”. Questo ritornello, ripetuto tre volte nel testo, mette in luce come la precedente vita, consumata nel male e dal male, del nostro uomo, gli toglieva il sonno; gli affari, quelli loschi, che egli stesso andava cercandosi, con gli annessi guai, erano tali e tanti da togliergli il tempo e il gusto di dormire. Ora gli affari, quelli luminosi, nei quali la sua nuova condizione esistenziale gli permette di impegnarsi, lo porta verso un sonno che è il riposo desiderato da membra che si sono prodigate bene, nel bene.
I rimorsi fanno fuggire il sonno dagli occhi, e l’accettazione della sua costituzionale e comune condizione di essere umano, fa quasi da cassa di risonanza ai ripetuti morsi della coscienza; la differenza, tuttavia, sta nel fatto che, questa volta, non si tratta di qualcosa che gli viene rinfacciato, ma di quella necessità di voler e dover riparare al male fatto, tensione che non si dà posa, che non esclude il riposo eppure lo rende attivo, attraverso, non subdoli sogni, ma progetti di pace.
Il non più riposare, da parassita, sul servilismo spaventato e spietato di qualcuno, il rimboccarsi le maniche egli stesso, un percorso di vita dai sentieri meno chiari e dagli esiti ancor più incerti, portano l’uomo a riposare come espressione di una vita bella, buona e, per quel che è possibile in questa vita, appagata.
“Eppur si dorme”, richiamando al più celebre “eppur si muove”, significa, allora, l’assunzione di responsabilità di una vita spesa in risorse esistenziali che facciano della veglia una forma di riposo nelle proprie relazioni e del sonno una propensione al bene di ordine vitale.
Caro amico, tutti hanno bisogno oggi di ritrovare l’equilibrio tra la veglia e il sonno; tu sei più avanti di noi in questo cammino, perché almeno hai preso consapevolezza di questo; ci auguriamo di essere con te, persone capaci di vegliare sognando la realizzazione di tutto il bene possibile e di dormire vivendo la tensione verso un relazionale riposo narrante.