– IL FONDO DEL MIO CIELO –
Parte 1 – 1. DOLORE DI LACRIME INARIDITE
Parte 2 – 2. DOLORE DI LACRIME INARIDITE
Parte 3 – 3. PRIMO INCONTRO
Parte 4 – 4. PRIMO INCONTRO
Parte 5 – 5. LA VALIGIA VUOTA
Parte 6 – 6. IL NOSTRO PRIMO APPUNTAMENT
Parte 7
7. CONFORTO

Desideravo sentire la voce di mia madre prima di partire, dirle che sarei stata lontana da casa per un breve periodo, ma soprattutto volevo cercare conforto, e dove trovarlo se non accanto a lei, alla mia mamma? Non avrei avuto il coraggio di confessarle che ci eravamo lasciati e che non vivevo più con lui. Dentro di me c’era la paura che dal mio volto lei potesse leggere tutto ciò che tentavo di nasconderle, che dal mio sguardo potesse uscire la tristezza che mi piegava, senza che io trovassi un altro rifugio accanto a me. Dovevo raccogliere coraggio, mostrarmi allegra e sorridente, così come lei mi conosceva. Suonai il campanello dell’appartamento dei miei genitori.
— “Entra,” — udii la sua voce. Mi aspettava, ed era sicuramente in cucina, da dove proveniva il suo richiamo, intenta a preparare qualcosa per accogliermi come una madre premurosa che sempre mi riceveva con un piatto gustoso.
— “Cara, siediti, ti preparo un caffè e poi pranziamo.”
Entrai e mi accomodai sul divano del salotto.
— “Non voglio caffè, ho fame,” — risposi, poggiando accanto a me il piccolo zaino, dal quale estrassi il telefono per lasciarlo sul tavolo.
— “Il frigorifero a casa mia è vuoto,” — aggiunsi, e subito domandai:
— “Ma papà dov’è?”
— “Tuo padre è partito ieri sera per il campeggio.” — La vidi mentre con un panno bianco puliva qualcosa sul fornello.
— “Ah già, ora ricordo, me l’aveva detto. Ma cosa trova così spesso in quel campeggio alla sua età?”
Cercavo di spostare la conversazione altrove, affinché non mi chiedesse nulla di lui. Volevo evitare qualsiasi discorso sulla sua presenza nella mia vita. Sapevo che avrebbe capito se le stessi nascondendo qualcosa.
— “Vedi, cara mia, per te siamo vecchi, ma per il mondo siamo ancora giovani. Sai come si dice: cinquant’anni sono vecchiaia per la giovinezza, e giovinezza per la vecchiaia.” — Lo disse sorridendo e si appoggiò con le mani al piccolo bancone della cucina, dove erano allineati bicchieri e piattini puliti.
Con una sola parola, se dovessi descrivere i miei genitori, direi: impeccabili. Sì, loro erano davvero genitori impeccabili, e la loro cura per me non aveva perso intensità neppure ora che ero adulta, matura e vivevo da sola. A venticinque anni mio padre aveva perso il fratello gemello e da quel momento la sua vita era cambiata, avviandosi su una strada conosciuta solo da chi soffre. I giovani si comportano come se il mondo fino ad allora non avesse mai conosciuto la giovinezza: si gettano senza tregua nella ricerca di emozioni, credendo che ciò che fanno sia unico, mai vissuto da altri, mentre in realtà ogni generazione attraversa le stesse esperienze.
Secondo quanto raccontava papà, lui e suo fratello erano i re delle feste del quartiere, organizzavano viaggi ed erano amatissimi dagli amici. Pur essendo gemelli, avevano caratteri complementari, si completavano a vicenda: uno aveva talento per la musica, l’altro era uno scrittore mancato. Forse proprio da lì nasceva il mio amore ereditato per la parola scritta. Mio padre era quello più introverso, che sapeva trasmettere i suoi sentimenti con uno stile speciale sul foglio bianco.
Un’estate, al mare con gli amici, mio padre rimase in spiaggia mentre suo fratello andò in auto in centro a comprare qualcosa. Ebbe un incidente stradale e morì sul colpo. Le indagini accertarono che non fu colpa sua, ma di una macchina che sorpassava a gran velocità nella sua corsia. In quel breve istante che si misura in secondi, perse la vita, un’altra vittima lasciata sull’asfalto. Quando mio padre ricevette la notizia, rimase senza parlare per una settimana intera. I miei nonni, già piegati dal dolore, insieme ai parenti e agli amici, erano disperati non solo per la perdita di un figlio, ma anche per la salute dell’altro. Per lui, gemello, fu una ferita insopportabile. Non sapevano come aiutarlo: restava seduto, immobile, senza volontà. In quei giorni bui, mia madre — allora sua cara amica — fece tutto il possibile per sostenerlo psicologicamente. Ripete spesso:
“L’amore non conosce confini: passa ovunque, rompe ogni barriera.”
Il suo amore ruppe quella coltre di dolore e trovò la via per entrare nel suo cuore. Ancora oggi, dopo tanti anni, credo che mio padre pianga il fratello amato. Mia madre comprendeva la sua sensibilità, e quando percepiva che aveva bisogno di silenzio e solitudine, si ritirava, lasciandolo andare al campeggio da solo. I due appartengono l’uno all’altra: perfettamente incastrati, sanno vivere insieme, ma rispettano anche lo spazio della libertà individuale. Papà non si stancava mai del campeggio.
Mia madre, per indole, nel bilancio della vita dà sempre più di quanto riceve. Il suo impegno verso le persone amate è sempre stato al primo posto. Mentre mi porgeva soffici panini casalinghi su un vassoio di porcellana verde, mi osservò sorpresa.
— “Cara, sei dimagrita così tanto… mangi qualcosa?”
— “Mamma, lascia perdere. Si sistema, sai…” — non conclusi la frase, evitando la vera risposta. Nei primi dieci giorni dopo la separazione, infatti, quasi non avevo toccato cibo. Ogni volta che cercavo di evitare una verità, questa appariva ancor più evidente.
— “Su, non cercare di convincermi con queste “correzioni”. Conosco voi giovani e le vostre mode strane. Non capisco cosa troviate di bello in questa magrezza. È solo una tendenza. Ce n’era una simile anche ai miei tempi, quando apparve Twiggy. L’hai mai sentita nominare? Il suo arrivo fu una rivoluzione nella moda. Sì, carina, ma per i miei gusti troppo magra.”
Continuò a parlare delle modelle, della moda, dei suoi tempi, della vita, collegando un argomento all’altro. E grazie alle sue parole cominciai a distaccarmi, almeno un po’, dal mio dolore. Mi ritrovai persino a sorridere: il suo modo di raccontare era sempre punteggiato da battute e arguzie. Aperta, piacevole da ascoltare, sapeva come mettermi di buon umore.
— “È pronto il caffè. Vieni in terrazza, oggi è bello. Ho piantato nuovi fiori. Pranziamo lì.” — Senza attendere il mio consenso, la vidi spostare le sedie.
— “Mamma, ma non c’è posto con tutti questi vasi! Ci sono più piante che spazio per due sedie. Bello, ma stretto.”
— “Togliamo queste, ecco qua.” — Mi sistemò una sedia.
La guardavo mentre si chinava e si rialzava, servendo i dolci con il caffè sul piccolo tavolino di rattan. Faceva di tutto pur di compiacermi. Mamma. La ricordo quando era giovane: alta, snella, con uno sguardo pieno di fascino. Ora di quel corpo era rimasto poco, eppure ancora si intravedeva la bellezza che un tempo la distingueva. Le spalle curve, la vita più larga, ma per me la cosa più importante era che fosse sana e vitale, sempre pronta a parlare con me. Avrei voluto abbracciarla e confessarle tutto. Ma no, non lo feci, per non intristirla. Mi aveva solo lei, figlia unica, e non volevo deluderla mostrando la mia fragilità di fronte ai problemi che mi affliggevano. Lei mi amava più di se stessa. Le sorrisi:
— “Mamma, sei la donna migliore del mondo. Lo sai, vero?”
— “Tesoro mio. Qualsiasi altra madre, avendo te come figlia, sarebbe stata la migliore. Non è merito mio, è merito tuo,” — mi rispose, scaldandomi il cuore con quelle parole.
— “Venerdì partirò per la Slovenia, al Lago di Bohinj, per riposarmi un po’.” — Sorseggiai il caffè e posai di nuovo la tazzina sul tavolo.
— “Ottima scelta per una vacanza,” — disse. — “Quando eravamo giovani, tuo padre ed io visitammo Bled, e ricordo bene quanto fosse splendida la natura. Riposati, rinfrescati, e poi torna più serena. Chiamami quando arrivi, così non mi preoccupo.”
Mi sembrò che intuissi qualcosa. Non mi chiese nulla di lui, come invece faceva di solito. Forse sapeva già tutto di me, senza che glielo dicessi. O forse non voleva agitarmi più di quanto lo fossi già.
Continua…

